Entriamo nella Stanza di Beppe ascoltando, in radiocuffia, la colonna sonora di “Crollo Nervoso” dei Magazzini Criminali. Una sonorità drastica, propria di quella sensibilità patologico-esistenziale che quel gruppo guida della postavanguardia esprimeva al miglior grado, aprendo gli anni 80. Si iniziava, allora, a parlare di postmoderno e Beppe Bartolucci da illuminato critico teatrale militante ne aveva già anticipato lo spirito. Il mondo stava cambiando, non era ancora arrivata la rivoluzione digitale ma quelle atmosfere performative ne anticipavano l’andamento accellerato. Beppe era un “rabdomante”, trovava segnali di mutamento, li decodificava e li rilanciava, interpretando il nervosismo di una generazione sconfitta nei conflitti rivoluzionari. Altri tempi. Erano i colpi di coda di un Novecento in cui le ideologie stavano tramontando e tirava aria di un nichilismo (mixato con un emergente edonismo metropolitano, un cocktail micidiale) a cui la postavanguardia seppe dare forma.
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